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Caravaggio-Bacon: la metafora dello sguardo

 

Al visitatore abituato a un percorso espositivo caratterizzato dalla consueta ricostruzione storico-critica, quindi dall’accostamento di artisti ed opere basato su confronti stilistici e formali, la mostra in corso alla Galleria Borghese probabilmente potrebbe rivelarsi priva di senso. In realtà l’esposizione, curata da Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, Claudio Strinati, Soprintendente Speciale per il PSAE e per il Polo Museale dela città di Roma e da Michael Peppiat, biografo, amico intimo e massimo conoscitore di Bacon, vuole essere soprattutto un’operazione estetica che prescinde dalla lettura convenzionale delle opere d’arte e dalla possibilità di scorgere delle dipendenze, un’operazione in cui lo spettatore è protagonista assoluto, in quanto sta a lui costruire un tessuto di suggestioni e di corrispondenze tra due artisti così diversi tra loro, come Caravaggio e Bacon. 
Si tratta di un confronto tra due personalità controverse, eccessive, ognuna a suo modo nella propria epoca, caratterizzate da un’irriverenza espressiva che porta il primo alla rappresentazione di una realtà semplice e disadorna, priva di qualsiasi abbellimento e correzione, il secondo a rappresentare la realtà interna attraverso il tormento della carne di corpi sconvolti e deformati: crudezza fisica nel primo, metafisica nel secondo, centralità assoluta della figura umana e rappresentazione originale del mistero dell’esistenza, smascheramento e demistificazione in entrambi. Caravaggio indaga, attraverso la luce, gli aspetti più veri e crudi della realtà, liberando la figura umana dal buio, Bacon fa luce sulla tenebra che è dentro l’uomo, cogliendo nell’aspetto esteriore degli individui «la morte che lavora dentro di loro…ogni secondo un pò della loro vita se ne va». Caravaggio cerca di restituire l’immediatezza fisica del corpo, Bacon l’immediatezza del movimento nervoso interno, ribadendo l’invocazione nietzschiana che la forma non copre ma rivela, che l’apparenza non nasconde la verità, che la profondità è nella superficie stessa: «Non c’è alcun mistero, se per mistero si intende qualcosa di esterno al mondo. Tutto avviene qui sotto i nostri occhi». Bacon ricrea il movimento che il sistema nervoso produce nella carne del vivente, movimento disarmonico e disordinato che deforma il corpo, costretto in una gabbia prospettica che accentua la solitudine umana. Inoltre l’effetto straniante viene enfatizzato dall’uso costante del vetro sulla tela che pone una distanza tra quadro e spettatore ma allo stesso tempo incorpora il secondo nel primo, attraverso il riflesso, paragonato dall’artista al «residuo organico di una lumaca».


Caravaggio, Davide con la testa di Golia (1605-1606) - Francis Bacon, Portrait of Isabel Rawsthorne (1966)

Le opere dei due artisti, collocate all’interno del museo, devono sottostare alle condizioni imposte da quest’ultimo, in primo luogo l’impossibilità di uno spazio disponibile per la sola esposizione temporanea. Di conseguenza le opere assumono un’esistenza autonoma e, se da un lato il percorso appare più confuso, dall’altro lo stimolo a cercare delle connessioni si accentua. Lo spettatore non deve riprodurre nella sua mente le immagini ma piuttosto compiere uno sforzo per produrre delle somiglianze, cogliere l’unità nella diversità, nella molteplicità. I tratti somiglianti non sono continui ma discontinui, non sono ovvi, non si offrono alla visione ottico-retinica ma implicano uno sguardo, lo sguardo di un osservatore che non si aspetta di trovare un senso definitivo e che non si limita a guardare. Solo in questo modo Caravaggio e Bacon ci faranno vedere ciò che altrimenti difficilmente riusciremmo a cogliere, ovvero la verità: «Ho sempre aspirato ad esprimermi nel modo più diretto e più crudo possibile, e forse, se una cosa viene trasmessa direttamente, la gente la trova orripilante. Perché se dici qualcosa in modo molto diretto a una persona, questa a volte si offende, anche se quello che hai detto è un fatto. Perché la gente tende ad essere offesa da fatti, o da quella che una volta veniva chiamata verità» (F. Bacon).

Carmela Rinaldi


 

Caravaggio-Bacon
a cura di Anna Coliva, Claudio Strinati e Michael Peppiat
dal 2 ottobre 2009 al 24 gennaio 2010
Galleria Borghese, Piazzale del Museo Borghese 5 - Roma
www.caravaggio-bacon.it
www.mondomostre.it

 


 

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