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C'era una volta il Futurismo

Fa effetto pensare che roba di 100 anni fa sia più "avanti" di certe manifestazioni odierne spacciate come "avanguardia". Talmente avanti da risultare ancor oggi difficilmente definibile, catalogabile, inquadrabile. Da collocare, forse, in una dimensione mitica come il West o l'America di Sergio Leone. In Italia, in Europa e nel mondo siamo tutti alle prese con le celebrazioni del centenario del movimento d’avanguardia fondato da Marinetti (20 febbraio 1909: Le Figaro pubblica il Manifesto), forse l’unica corrente artistica italiana del XX secolo a delineare nuovi orizzonti anche fuori dai nostri confini: e allora, pioggia di vernissage da Parigi a Londra, passando per Milano, Aosta, Trento, Torino… Una fortunata coincidenza ha voluto che mi trovassi prima a Milano e pochissimi giorni dopo a Roma, a dare un’occhiata alle due esposizioni che sono state rispettivamente allestite a Palazzo Reale e alle Scuderie del Quirinale. Due eventi espositivi di quelli talmente grandi che ogni autobus, sia a Roma che a Milano, reca sulla fiancata la pubblicità con la le locandine delle mostre. La tentazione di un confronto è forte. Partendo da nord, sembra che i milanesi vedano il futurismo come una di quelle tribù dell’Amazzonia da preservare dall’estinzione: la mostra “FUTURISMO 1909–2009. Velocità + Arte + Azione” pare a tutti i costi voler delimitare l’avanguardia di Boccioni e soci, spiegarne con una scientificità da laboratorio tutte le componenti: radici, temi, influenze, sviluppi… Talmente razionale da risultare didascalica. Non che cị sia per forza un difetto: ma alcuni passaggi eccedono in “rigidezza” ed eccessiva semplicità. Perché non è sempre vero che 1+1 fa 2: insomma, se Carrà e Balla partono simbolisti, non significa necessariamente che l’origine del futurismo vada per forza rintracciata nel Simbolismo (e la prima sala è tutta dedicata a dimostrare gli esiti di questo rapporto). E ancora; è vero che cubismo e futurismo condividevano l’amore per la scomposizione, ma sovrapporle, come in alcuni casi hanno inopportunamente pensato a Palazzo Reale, è una leggerezza non da poco. Il cubismo vedeva nella scomposizione un espediente analitico per meglio indagare la realtà e mostrarne l’articolazione, la complessità; il futurismo scomponeva invece nel tentativo di animare i quadri con un movimento impossibile quanto fittizio. Tuttavia, a parte l’eccessiva “scolasticità” di alcune sezioni, parlar male di un’impresa espositiva come quella di Milano sarebbe oltraggioso: riunire tutti quei pezzi in un percorso studiato e preparato nei minimi dettagli è già di per sé un eccellente risultato (nonostante manchi forse il capolavoro "da urlo", a parte le "Forme uniche della continuità nello spazio" di Boccioni). E mostrare il Sironi futurista degli esordi (raro da ammirare: poi approḍ a tutt’altro genere) o dedicare uno spazio di primo piano a Prampolini (a mio avviso uno degli artisti italiani più importanti e sottovalutati: basti vedere quanto Burri lo abbia ripreso) ritengo siano degli spunti tutt’altro che scontati da attribuire ai curatori. In definitiva una mostra da non meno di 7,5. A Roma il rischio di recintare il futurismo viene ribaltato: sciolgo le trecce ai cavalli, ballano Boccioni e Balla (e tutti gli altri) in un tripudio che non ha bisogno di spiegazioni, didascalie, pannelli esplicativi. In tutta la mostra, soltanto un pannello, all’inizio del percorso (quanto sarebbe piaciuto ai futuristi!): e il primo piano, nel quale sono riunite decine di opere esemplari – quanto difficilmente visibili tutte assieme – dei firmatari del Manifesto della Pittura Futurista, scorre via di pari passo con le linee di forza, le pennellate curvilinee e le proiezioni plastiche di lavori come “La risata” di Boccioni o “Bambina che corre sul balcone” di Balla. Come se siano i dipinti a muoversi, non le gambe dei visitatori che sciamano. Il passaggio al piano superiore non smorza l’impatto emotivo: Il “Nudo che scende le scale” di Duchamp e l’ “Antigrazioso” di Boccioni (semplicemente l’Abc dell’arte di inizio secolo) sono là, a meno di tre metri l’uno dell’altro, e sembra che il nudo voglia proprio dirigersi verso la rivoluzionaria scultura boccioniana. Ahimè, dopo l’estasi della prima metà della mostra, si perde un po’ la bussola. Alle pareti viene appeso di tutto e di più, con una presenza coś massiccia di artisti francesi da far pensare che si tratti di una mostra realizzata con pezzi sparsi presi dalle collezioni del Centre Pompidou (indovinate la provenienza del curatore?). Accanto a Leger ed altri artisti la cui presenza è pienamente giustificabile, trova coś spazio - solo per fare un esempio - David Bomberg, con un’opera a mio avviso inspiegabile: non che ce la voglia con il povero Bomberg (la cui carriera è molto apprezzata e conosciuta in Gran Bretagna), solo m’è sembrato l’esempio più lampante di una certa abbondanza che nulla fa guadagnare alla mostra (ah, il titolo: “Futurismo. AvanguardiaAvanguardie”). La cosa migliore sarebbe stata trovare un punto d’incontro fra la libertà dell’esposizione romana e la puntualità di quella milanese, cercando di lavorare per sottrazione nei punti in cui la scelta di alcune opere appare pleonastica. In ogni caso due ottime rassegne: a Milano andrei per “studiare” il futurismo, a Roma per “assaporarlo”. Giusto un paio di considerazioni: la prima è relativa alla mancanza di una mostra dedicata interamente alle influenze del futurismo sull’arte del secondo dopoguerra. Ci sarebbe stato spazio per un evento epocale, magari partendo dalle ultime due sale di Palazzo Reale - forse le migliori dell'intero percorso - nelle quali venivano mostrati gli sviluppi dell’avanguardia, ripresa poi da Burri, Balestrini, Fontana, Dorazio, Schifano. Peccato che si sia trattato di poche opere. Infine, ed è anche un’autoriflessione su quanto scritto finora: ci rendiamo conto che i futuristi probabilmente avrebbero dato fuoco a tutto ciò?

Saverio Verini

 


FUTURISMO 1909–2009. Velocità + Arte + Azione (Milano) e FUTURISMO. Avanguardiavanguardie (Roma)

Palazzo Reale, Milano e Scuderie del Quirinale, Roma

dal 6 febbraio al 7 giugno 2009 (Milano), dal dal 20 febbraio al 24 maggio 2009 (Roma)

a cura di Giovanni Lista e Ada Masoero (Milano), Didier Ottinger (Roma)

 

 

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