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The Big Bang

Dall’universale al particolare, dall’universo all’individuo. E’ questa la chiave di lettura della mostra che si sta tenendo al Museo di arte Contemporanea Carlo Bilotti a Villa Borghese. Presenti i lavori di grandi protagonisti delle arti visive internazionali che dagli anni ’70 hanno privilegiato l’indagine sul cosmo, come elemento della indeterminatezza attraverso il quale trovare il principio comune e unitario per capire se stessi e per estensione gli altri. Il Big Bang, invece, come momento chiave; E’ forse in quell’istante che ha dato avvio al tutto che si pụ ricercare e trovare il motivo e la matrice del nostro corpo.  Quadri che si muovono, quindi,  in ambito scientifico che viaggiano verso l’origine del mondo (e della vita), che si allargano all’infinito per risolvere l’indeterminatezza assoluta e tentare di mettere ordine al caos. Non figure, né immagini ma solo suggestioni e colori, non rumore ma spazio dilatato. Il primo lavoro in mostra, il video dell’artista Shahzia Sikander,  Pursuit Curve, 2004 ne è un esempio perfetto. Attraverso il passaggio di segni e forme si cerca, in un’atmosfera assai rarefatta con colori e luce diffusa, un accordo tra la filosofia orientale e la cultura occidentale. Tutto è realizzato in computer art con un sonoro che richiama il senso del nulla cosmico. Ottimo inizio per comprendere anche lo scopo di quest’esposizione e preparare alla visione dei lavori successivi. Ottimo l’uso fatto della tecnica a computer che fa ś che il lavoro si distingua dagli altri e possa essere in qualche modo più completo potendo usufruire del sonoro e del movimento. Anche un altro artista in mostra ha usato tecniche diverse dalla semplice pittura: James Turrel (  General Site Plan, 1986) che partendo dalla fonte fotografica la reinterpreta e vi inserisce inchiostri e pastelli rendendo un paesaggio lunare. Toni di grigi, che attestano l’intenzione di fare del non- colore l’idea portante del dipinto. Come succede poche tele più in là con un altro esponente: Roberto Longo con  Untitled, 2004.  Unica tecnica utilizzata quella del carboncino per delineare galassie e pianeti. Il segno, netto e regolare, e lo spessore del tratto restituiscono la sensazione di materialità e quasi sembra di sentire la consistenza delle stelle e della terra.  Il colore si ritrova, in un trionfo, nell’installazione di Peter Halley,  Installation Detail The Gallatin School of Individualized Study at New York University, 2008, dove attraverso la successione di moduli ripetuti sulle pareti della sala si ripropone il caos del Big Bang. Deflagrazione.  I toni si espandono su tutta la superficie, si allargano e avvolgono  e sembrano continuare all’infinito, almeno fino a quando ci si avvicina (al piano superiore) all’opera di Mario Dellavedova (I buchi neri, 2004) che invece inghiotte completamente ogni colore. Il tessuto nero sul quale campeggia una fredda luce al neon col titolo dell’opera annulla ogni suggestione tanto che la scritta risulta appena leggibile. Di cosmico quest’opera non ha niente. Le piccole dimensioni escludono l’idea di assoluto ma sottolineano invece il tessuto del quale il fondale è composto: quello di un semplice e casalingo tappetino. Dell’opera resta la sensazione di vuoto, di assenza, di chiusura che per contrasto ben si addice all’universo. Pregio della mostra è aver incluso il lavoro di Ross Bleckner (  Double Section, 2002) che seppur un primo sguardo pụ farlo sembrare fuori luogo è quanto mai in tema e profondamente significativo tanto da aggiungere valore all’intera esposizione. E’ qua più che da ogni altra parte che si avverte il passaggio dalla dimensione universale a quella particolare. Il dipinto, di grandi dimensioni, è un racconto dell’intimo dell’artista che lotta con la sua condizione di sieropositivo. Anche qui moduli circolari e colorati (molto più tetri) che si ripetono in maniera matematica, secondo precise regole geometriche (l’ordine che regola tutte le cose) ma che in loro contengono il segno e il peso del virus, che tendono ad allargarsi e a contaminare lo spazio circostante. La mostra Big Bang è breve, di semplice lettura ma non banale. Forse un numero maggiore di opere (ammesso di trovare lo spazio) avrebbe appesantito la visita. Il tema molto interessante è trattato con attenzione anche attraverso la giusta selezione delle opere e lascia soddisfatti. Niente appare sacrificato (tranne forse i lavori al piano superiore) e tutto è rispondente alle aspettative del pubblico. L’allestimento non è eccelso e di per sé non originale ma si addice allo spazio del museo Bilotti che ha dimostrato ancora una volta di saper ospitare qualcosa di nuovo e di intelligente.

Fabrizio Manzari


The Big Bang

a cura di Gianni Mercurio

dal 26 giugno al 19 ottobre 2008

Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese, Viale Fiorello La Guardia - Roma

www.museocarlobilotti.it

 

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