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L'enigma di Giuseppe Gallo

La passione per il disegno, l’insistere sul colore, il legame fra parola ed immagine, la riproposizione in chiave innovativa di tecniche antiche e motivi ancestrali. Sono questi i temi forti della retrospettiva che MACRO dedica a Giuseppe Gallo, artista calabrese trapiantato a Roma ed animatore storico dagli scena romana anni ’80 con la sua presenza nel gruppo degli artisti di S.Lorenzo (formato assieme agli amici/colleghi Gianni Desś, Bruno Ceccobelli, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Marco Tirelli). Il background culturale di Gallo è ampio e si fonda sulla conoscenza dell’antico, giocando sull’attrazione che la memoria arcaica sa evocare. I misteriosi, a tratti mistici, soggetti che popolano i suoi lavori affondano le proprie radici nelle origini dell’uomo e richiamano a processi di genesi e creazione naturale: opera-manifesto della mostra è il ciclo “Le dita della mente” (eseguito fra il ’98 ed il ‘99), costituito da dodici pannelli di grandi dimensioni (corrispondenti ai mesi dell'anno) uniti uno all’altro che si snodano in un’unica sala creando un’area chiusa, uno spazio protetto, dove si alternano con efficacia – ma senza violentare l’occhio dello spettatore – colori, materiali, visioni oniriche, sagome primordiali, forme geometriche, numeri, parole, profili umani.  Curiosamente i pannelli, alti, ma piuttosto sottili, poggiano sopra delle uova: si tratta, probabilmente, di un richiamo alla genesi, origine – dunque base –  di ogni processo. Anche quando i colori si accendono e le forme si condensano in blocchi geometrici (un labirinto compositivo volutamente concepito, credo, senza grande coerenza interna) non avviene mai un’esplosione sulla superficie dell’opera, ma si rimane sempre in uno stato di calma piatta, quasi distensivo. Come se la composizione fosse il disegno di una divinità che, con calma, si sta prendendo tutto il tempo per assemblare un universo in via di definizione. La passione per le “serie tematiche” si manifesta in altra produzione unitaria, “Il Cielo dei Re” (1991), dove Gallo passa su un piano scultoreo di grande potenza evocativa, come il titolo lascia intendere. Oggetti grezzi (tutti dello stesso materiale ligneo intensamente nero, tutti della stessa dimensione) sospesi a metà di una parete bianca: si tratta di un’accetta, una falce, un accordatore di violoncello, una mano, una chiave, stranamente oblunghi. Lo stesso standard compositivo (soggetti affilati collocati secondo un andamento orizzontale, vagamente ritmico) si ritrova pure in “Autoritratti autoritari” (2004-2005) con asce che riprendono profili di uomini ed in “Eroi” (2006), una criptica installazione formata da sgabelli altissimi, inarrivabili, legati fra loro alla base da gambe che si intrecciano. La sottile silhouette delle sedie le rende incapaci di reggere un peso consistente, possibile espressione metaforica dell’impossibilità (o, magari, dell’inutilità) dell’eroismo al giorno d’oggi. La sensazione è quella di essere di fronte ad un indovinello, un rebus da Settimana Enigmistica dove la comprensione di una parte è fondamentale per la piena manifestazione del tutto. Lasciando da parte alcuni lavori riconoscibili ed indicativi dello stile di Gallo, a mio avviso tuttavia non troppo incisivi (i numerosi “disegni” ’79-’98, il ciclo “Foglie” del periodo 2001-2004 ed altri lavori isolati di formato medio-grande fra cui spiccano “Merletto Veneziano” del 2004 e “Mare di specchi”, 2005), la produzione dell’artista si sublima in “Cadute silenziose” (2006) e “Memoria retrospettiva” (2007) anch’essi formati dalla somma di più dipinti. Ricorrono in queste opere le simbologie “feticcio” di Gallo, chiavi, uova, asce, centauri ed ancora foglie, dita di mano, lumache che richiamano al concetto di guscio (particolarmente caro all’artista), “porzioni” di uomo. Un universo metafisico ed immaginario nel quale trovano asilo frasi autoreferenziali, senza evidenti connessioni logiche con le vicende pittoriche dei quadri. “Troppo troppo troppo troppo troppo”,  “Siamo sempre in ritardo”, “Gallo è pazzo” compaiono scritti a caratteri cubitali in queste opere labirintiche e stranianti; in fondo l’importanza data alle possibilità comunicative della parola appare già chiara dai titoli scelti. Il trittico formato da “Con umiltà”, “Con infamia” e “Tanti titoli” (tutti lavori datati 2007) mantiene intatto il clima delle grandi tele finora prese in considerazione, un “big bang di forme” con cancellature, segni deboli e latenti che riemergono. La mostra si chiude con la stanza dedicata a “Prismi” (2007), un insieme scultoreo di piccoli totem sormontati da facce beffarde, tragiche, spaventose, in uno stile che non pụ non porsi in relazione con le parate in maschera del periodo carnevalesco. Al termine della visita, oltre al senso di piacevolezza estetica garantita dall’uso dei colori, dagli accostamenti, dalla riconoscibilità dei soggetti, mi sento davvero lontano dal trovare una chiave di lettura unitaria; alcuni aspetti della poetica e dello stile si possono cogliere, ma raramente ho avvertito un senso di smarrimento coś grande dopo una mostra. Difficile trovare punti d’appoggio: a tratti, Gallo sembra aggrapparsi agli stilemi formali e tematici di certa Transavanguardia, alla quale è legato da una visione comune a quella di Francesco Clemente. Ma al di là di questo aspetto e del dichiarato interesse verso il recupero di una dimensione metafisica nella quale l’artista colloca modelli antichi (quasi tratti da una mitologia cosmica), forse l’enigma si pụ svelare grazie alle parole dello stesso Gallo: “Io cerco un modo di lavorare che non sia finito. Mi sento come una madre che mette al mondo un figlio senza commettere l'errore di volerlo possedere, ma lasciandolo completamente libero; un quadro, quando lo realizzo, deve avere la possibilità e la potenzialità di generare altre cose, altre idee” Pụò sembrare che Gallo abbia poco da dire (artisticamente parlando). Più probabile che la comunicazione fra il suo modo di esprimersi e lo spettatore si collochi molto in profondità, rivestita da una memoria appartenente a nessun tempo. Forse è proprio ĺ che si genera l’indimostrabile empatia fra l’opera e chi la osserva.

Saverio Verini


All in - Giuseppe Gallo

a cura di Danilo Eccher

dal 17 novembre al 3 febbraio 2008

MACRO, Via Reggio Emilia 54 - Roma

www.macro.roma.museum

 

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