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L'Uroboro di Stefano Minzi

Ouroborus, 2011 - sinistra: particolare dell'installazione |  destra: particolare dell'installazione, (Maria Montessori), Courtesy Ex elettrofonica

La misteriosa incisione del drago coronato di Abraham Eleazar (1735), presente sull’invito alla mostra, già accende una certa curiosità per questo lavoro inedito di Stefano Minzi, come anche il titolo, Ouroboros, ricco di echi lontani nel tempo e nello spazio: l’Uroboro, pur nella varietà delle rappresentazioni, ha attraversato i secoli e le geografie. Simbolo dal sapore universale che evoca la circolarità, il continuo avvolgersi e l’incessante ritorno. Il grande serpente di Minzi si aggroviglia formando un’8 attorno alle colonne-albero della galleria, già fortemente connotatata dall’architettura interna, in modo tale che il significato ne esca raddoppiato: non solo la ciclicità dell’uroboro, ma anche l’infinità del numero 8. Il serpente non cambia pelle, ma sicuramente cambia testa: ed ecco cadere a terra le sue facce, da Mussolini (quello di Piazzale Loreto) ad Andreotti, da Craxi a Berlusconi (dopo il colpo inferto dal modellino del duomo): i grandi nomi dell’ultimo secolo di storia italiana qui riuniti e iconizzati, a partire da scatti fotografici che li hanno immortalati in momenti politici difficili.  Tutt’attorno 17 maschere in pelle con 32 occhi – anche i  numeri si vestono di valore simbolico? – rappresentano l’altra scelta possibile. Ogni maschera prende il volto da personaggi di rilievo della cultura italiana, non indicati come modelli ideali – si va da Garibaldi, a Carlo Giuliani, da Gramsci a Pasolini – ma come  alternativa all’Uroboro, l’anima oscura del potere. Gli occhi sono ritagliati a formare delle fessure, proprio come accade per le maschere, ma alcuni volti conservano i loro occhi, perché i personaggi sono ancora vivi. Sono icone che simboleggiano la possibilità di un’individualità separata dalla spirale del determinismo storico. Le maschere e le teste dell’Uroboro sono colorate ed ogni colore, come avviene per tutti i simboli, non racchiude un significato univoco. Così se il bianco di Berlusconi simboleggia l’egoismo, quello di Maria Montessori rappresenta la purezza.

Ouroborus, 2011, particolare dell'installazione, Courtesy Ex elettrofonica

Le incisioni del The Giant Flip Book e il video How I Digested a Media Dictator interrompono e concludono la circolarità della mostra: si tratta di lavori risalenti al 2007-2009 ma esposti ora per la prima volta, insieme all’installazione site specific realizzata invece nel 2011. I 50 monotipi che compongono la raccolta sono ricavati da fotoincisioni su matrice in TetraPak: ciascuna stampa è quindi unica e irripetibile, poiché la matrice, ricavata da un materiale facilmente degradabile, si modifica dopo ogni utilizzo e viene manipolata per consentirne il riuso. L’immagine iniziale viene quindi rielaborata fino a scomparire totalmente. L’ultimo monotipo è in realtà collocato a inizio della serie, cosicché l’immagine di Berlusconi possa svelarsi solo alla fine. Anche le maschere sono ottenute con un procedimento similare, a partire da immagini fotografiche trasferite su carta o stoffa mediante stampa planografica. Da un lato c’è una riflessione sulla tecnica incisoria che nasce per rendere ripetibili le opere d’arte, mentre qui se ne fa un uso rovesciato: l’incisione è ripetibile se la matrice è resistente, ma rendendo la matrice labile, viene restituita unicità alle opere. Dall’altro c’è una riflessione sulla forza delle icone popolari soggette al loro naturale processo di obsolescenza.

«Questo lento svanire mi sembrava una metafora del tempo che cancella, della tempesta di sabbia che erode granello a granello l'immagine della sfinge […] Mentre molti attendevano, con sempre minore speranza, l'apparire degli anticorpi democratici profetizzati da Montanelli in occasione del primo governo Berlusconi, io ho cercato di produrre con l'inchiostro i miei propri anticorpi». (Stefano Minzi, Aprile 2009).

Quale alternativa alla verità se non la creazione di un’altra realtà? Quale antidoto migliore all’invecchiamento del continuo rinnovamento dell’icona? Il Flip Book dedicato a Berlusconi ci porta a riscoprire un’icona giovanile, una delle tante che hanno accompagnato il Gigante. Le icone cristallizzano ciò che rappresentano e questo è un rischio, perché si imprimono nella memoria, rendendo evidente il trascorrere del tempo: ma c’è un modo per evitare il confronto tra rappresentazione e realtà ed è il costante lavoro di rigenerazione dell’icona che nell’epoca del Berlusconismo è stato sapientemente portato avanti.

The Giant Flip Book, 2007-08, monotipo n. 1 e n. 50, Courtesy Ex elettrofonica

Non solo quindi una riflessione sociale e politica, come appare ad un primo approccio, ma un lavoro da assaporare strato dopo strato, per capire il potere delle immagini.

Eleonora Capretti


Ouroborus - Stefano Minzi
a cura di Manuela Pacella
Ex elettrofonica, Vicolo di Sant'Onofrio 10 - Roma

www.exelettrofonica.com

www.sminz.com

 

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